[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
Re: [www-it-traduzioni] Revisione nuova traduzione "Who does that server
From: |
Francesco Potortì |
Subject: |
Re: [www-it-traduzioni] Revisione nuova traduzione "Who does that server really serve?" |
Date: |
Tue, 02 Sep 2014 15:40:10 +0200 |
Andrea Pescetti:
>> - Usiamo sempre (e da sempre) "software proprietario", non "software
>> privato" che non esprime bene il concetto.
Marco Sollieri:
>Conosco molto bene questa abitudine. Mi sono però reso conto mesi fa che il
>calco che usiamo è inadeguato. I vocabolari italiani non includono infatti
>"proprietario" nel significato di "che è di proprietà esclusiva di qualcuno",
>che sarebbe il significato di "proprietary", ma solo in quello di "padrone".
>Ho cercato quindi il supporto di un linguista e discutendo con lui, abbiamo
>appunto individuato l'alternativa "privato", che dal punto di vista semantico
>mi sembra rendere invece molto meglio l'idea, nella suo significato di
>contrapposizione a "pubblico". Un software privato è infatti come una strada
>privata: ha un padrone che decide chi la usa, quando e come può essere usata;
>decide dove conduce e come, quali buche appianare e quali materiali usare.
>
>Capisco che è da vent'anni che scriviamo e leggiamo "proprietario" per
>"proprietary", ma visto che nell'italiano standard non è ancora entrato e che
>forse siamo ancora in tempo per una virata, e visto pure che GNU è la voce
>ufficiale in merito, forse vale la pena considerare delle alternative migliori
>(non necessariamente la mia proposta). Se qualcuno oltre a me ha voglia di
>parlarne insieme, possiamo aprire un altro filo di discorso.
L'aggettivo "proprietario" nel senso in cui lo usiamo, significa "non
pubblico", "non standard". Se provi a cercare "protocollo proprietario"
su un motore di ricerca vedi che l'uso è comune in molti ambiti diversi.
Analogamente la locuzione "formato proprietario" è ormai la definizione
comune di un formato che non rispetta standard pubblici. In entrambi i
casi si sottintende che si è in presenza di limitazioni relative alla
proprietà intellettuale, che siano diritti d'autore, brevetti o
semplicemente la capacità da parte di qualcuno di definire e variare
unilateralmente gli schemi del protocollo o del formato.
Si tratta di un aggettivo che ha una sua ampia diffusione nel campo
relativo agli standard di interscambio (formati, protocolli)
nell'elettronica e nell'informatica, almeno, e che non ha, che io
sappia, alcun equivalente specifico in italiano. È normalmente
contrapposto all'aggettivo "aperto".
Il termine è che, io sappia, un neologismo derivato dall'inglese
"proprietary", che ha lo stesso significato. La sua applicazione alle
licenze software e, per estensione, al software stesso, è stata fatta
che io sappia per la prima volta da Stallman, in contrapposizione a
"libero". In spagnolo, in questa accezione, viene tradotto con
"privativo", in italiano l'unica traduzione comunemente accettata è
"proprietario".
Tradurre con "privato" poteva essere un'opzione da discutere vent'anni
fa, e l'esito sarebbe stato quello che vediamo, per le ragioni sopra.
Oggi probabilmente non ha neanche senso parlarne, il termine è
ampiamente diffuso in questo significato e non ha rivali che io conosca.
Il suo utilizzo comune anche da parte di fonti istituzionali (ministeri,
ufficio brevetti, codici) ne ha ormai congelato l'uso, in maniera
probabilmente definitiva e comunque non mutabile nel breve termine.